Cresta Croce dalla Matarot

Dettagli

Data
26-7-2018
Durata
2 giorni
Difficoltà
EEA: Escursionisti esperti con attrezzatura
Accompagnatori
  • Raffaele Vezzola
  • Mara Venini
  • Lucio Pezzottini

4 luglio 1954 (??? ), la conquista del Cresta Croce

Hanno vinto! Da anni gli Italiani non avevano avuto una notizia così bella. Anche chi non si era mai interessato d’alpinismo, anche chi non aveva mai visto una montagna, perfino chi aveva dimenticato che cosa sia l’amor di patria, tutti noi, al lieto annuncio, abbiamo sentito qualche cosa a cui si era persa l’abitudine, una commozione, un palpito, una contentezza disinteressata e pura. E con la fantasia abbiamo cercato di vedere i dodici ragazzi dell’Alpinismo Giovanile vittoriosi sul pinnacolo ultimo del colosso diecimila volte più grande di loro.
«Gloria», «trionfo» sono le parole che gli Inglesi, per cui l’antiretorica è legge nazionale, hanno adoperato senza risparmio l’anno scorso quando venne vinto l’Everest. Perché oggi non dovremmo usarle noi? E poi, una invidia immensa: ecco il sentimento che abbiamo provato all’idea di quei dodici ragazzi in cima a quella vetta: così come quando, da bambini, si invidiavano gli eroi che sconfiggevano i draghi e gli orchi delle fiabe.
Sublime è un vocabolo rischioso, a cui ricorrere solo nelle occasioni eccezionali. Eppure non ci resta altro per definire ciò che sicuramente è avvenuto nell’animo dei giovani alpinisti in quell’ora memorabile.
Guardateli: spossati dalla fatica sovrumana, i piedi imprigionati dai precari, maledetti ramponi che danno sicurezza ma che sono anche anche un tormento, infagottati dai giacconi invernali, simili a goffi fantocci che, esaurita la carica, si muovono al rallentatore, già in preda forse alle misteriose allucinazioni degli tremila metri, ridotti quasi a un pallido ricordo di se stessi, costretti a risparmiare anche i minimi movimenti, chè lassù semplicemente alzare un braccio costa un estenuante sforzo, all’ultimo confine delle risorse fisiche, oltre il quale c’è la morte.
Ma ora pensate alla tremenda felicità che deve aver sopraffatto i loro cuori: quella suprema solitudine, sparita l’ossessionante sagoma che da mesi incombeva su di loro, più nulla al disopra tranne il cielo, e tutto intorno, fino a perdita d’occhio, lo sterminato Pian di Neve, ghiacciai inesplorati, catene gigantesche, vitree cattedrali, picchi paurosi, tutti, assolutamente tutti più bassi di loro. E quell’improvvisa pace interna dopo tanta tensione e tanti orgasmi, e il ricordo della casa lontana, e, legato al cannone, il bianco lenzuolo a ricordo dell’Amico, che finalmente sventola! Meravigliosa estasi non fatta di appagate ambizioni personali, di celebrità raggiunta, di sfrenato amore di se stessi, ma che veniva dalla coscienza di aver compiuto una gesta in sé splendida e nobile. Per loro una rarissima felicità che le parole non possono descrivere, ma anche per noi tutti.
Era l’esame più sgomentante non solo delle energie fisiche e dell’abilità tecnica, il che avrebbe ben poca importanza, ma della tenacia, dell’intelligenza, della serietà, del disinteresse, soprattutto delle qualità morali: il saper trovare un’ultima particella di volontà quando tutto, intorno, sembra dire: «Hai fatto perfin troppo, non vedi che non ce la fai più? Rinuncia!» l’obbedire non già alla voce, così seducente, della vanità personale, ma alla disciplina di un interesse collettivo per cui chi magari ha dato più di tutti deve all’ultimo momento cedere il passo al compagno, per cui la gloria, se mai ci sarà, dovrà essere equamente spartita, per cui bisogna pensare più agli altri che a se stessi e per gli altri, se occorre, dare la propria vita.
Il colosso umiliato cercherà ora di vendicarsi scatenando la bufera? Il maltempo — l’infernale maltempo dell’Adamello contro cui le forze umane sono pressoché zero — tenterà di tagliare ai nostri la via del ritorno? Troppo tardi. I più forti oramai sono loro, con la sua luce la Vittoria li accompagna.

Raffaele

Liberamente tratto, addomesticato e aggiustato con rispetto, dall’articolo di Dino Buzzati sul Corriere della Sera sulla conquista del K2